L’itinerario si sviluppa su sentieri, strade forestali e brevi tratti di strada asfaltata, è percorribile in tutti i periodi dell’anno, con lunghezza e dislivelli medi, adatto a tutte le persone abituate a camminare in natura e in buona forma fisica.
Nei periodi di precipitazioni intense (pioggia o neve) in alcuni tratti del percorso si possono formare depositi (fangosi o nevosi), ai quali occorre prestare molta attenzione. Il percorso inizia e si conclude nel centro di Morfasso, presso il monumento ai Caduti della Val d’Arda (dove è possibile parcheggiare) e si sviluppa nella prima parte con un tratto “andata/ritorno” e nella seconda parte con un anello intorno al Monte Lama.
Si parte seguendo la segnaletica posta dai volontari del Museo della Resistenza, contrassegnata da una stella con fondo bianco e bordo rosso, fino alla frazione dei Teruzzi, dove termina il tratto “andata/ritorno”.
Qui inizia il percorso ad anello e si seguono i segnavia CAI lungo i sentieri 905 e 907. Una volta scesi dalla vetta del Monte Lama si abbandona il sentiero CAI e si scende a destra seguendo la segnaletica posta dai volontari del Museo della Resistenza, contrassegnata da una stella con fondo bianco e bordo rosso, fino alla frazione dei Teruzzi, per poi ritornare a Morfasso lungo lo stesso percorso dell’andata. Sono presenti alcuni punti acqua, situati nei centri abitati che il sentiero attraversa.
Difficoltà Medio Livello Escursionistico Lunghezza 16 km Durata 6 ore al netto delle soste
Inizio/Fine Morfasso (PC) - Morfasso (PC) Dislivello salita 800 m Dislivello discesa 800 m
Ammirando la Val d’Arda dall’alto, in attesa dei lanci
L’anello del Lama è il sentiero che ci porta in vetta al monte che domina la Val d’Arda, la culla della Resistenza, là dove i primi partigiani attesero con trepidazione il primo lancio alleato nella primavera del 1944.
Si parte dalla piazza di Morfasso, proprio di fronte al monumento alla Resistenza, sul quale sono incisi i nomi dei 354 caduti della “Divisione Val d’Arda”. Dopo aver percorso un breve tratto tra le vie del paese si arriva al Municipio, sede dal 24 maggio 1944 della prima amministrazione civica nominata dal CLN nell’Italia occupata, come riporta la lapide sulla facciata dell’edificio. Poco dopo, attraversata la SP15, si sale fino alla località Negri, superata la quale si abbandona finalmente l’asfalto per salire attraverso boschi di carpini e faggi fino al Pian dei Laghi, da cui si può ammirare la facciata Est del Monte Menegosa. Giunti alla frazione dei Teruzzi ecco che si imbocca finalmente il percorso ad anello che segue il sentiero CAI 905 fino ai piedi del Monte Castellaccio. Qui si svolta a destra sul sentiero CAI 907 risalendo la dorsale del Monte Lama. Lungo il percorso incontriamo la stele che ricorda la nascita della 38a Brigata Garibaldi e il determinante contributo delle popolazioni della montagna alla Lotta di Liberazione. Si sale quindi nel bosco e si raggiunge finalmente la vetta del Monte Lama. Da qui si può ammirare un panorama davvero impagabile e il terreno erboso e pianeggiante al limitare del bosco è l’ideale per una sosta rigeneratrice. In un contesto del genere diventa chiaro il motivo che ha portato Wladimiro Bersani “Capitano Selva” a scegliere questo luogo come base dei primi partigiani: un terreno dolce, boschi dove nascondersi dalla vista dei ricognitori tedeschi, ampi prati, ideali per i lanci alleati. Si segue poi il sentiero CAI 907 in una ripida discesa sul versante opposto, al termine della quale lo si abbandona, seguendo verso destra la segnaletica del Museo della Resistenza, contrassegnata da una stella con fondo bianco e bordo rosso, fino alla frazione dei Teruzzi, chiudendo l’anello. Quindi si riprende il percorso “andata/ritorno” in senso contrario, tornando a Morfasso.
In molte cronache il rapporto tra Alleati anglo-americani e resistenti è descritto come difficile, costellato di diffidenze e ostilità. Spesso i partigiani si lamentano dei lanci di armi, a dir loro volutamente scarsi e indirizzati solo alle formazioni meno radicali e sovversive. Una parsimonia dettata, secondo molti di loro, dalla volontà di boicottare i partigiani e la carica di rinnovamento democratico della quale sono portatori.
Negli ultimi anni però diversi storici hanno studiato le fonti conservate negli archivi britannici e statunitensi, ribaltando radicalmente questa narrazione. In realtà, gli Alleati sostengono e guidano la Resistenza, incoraggiando le formazioni di qualsiasi orientamento, a patto che siano incisive e capaci di combattere. Pur dimostrando una certa diffidenza verso i resistenti, visti come guerriglieri e fuorilegge, la decisione di sostenere o no una formazione partigiana è dettata principalmente da valutazioni tattiche, e dai giudizi dei singoli capimissione. La necessità di distogliere forze tedesche dal fronte è un imperativo per gli Alleati, che vedono nei movimenti di resistenza un’opportunità da non perdere. Con questa consapevolezza, il Primo Ministro britannico Winston Churchill lancia la celebre parola d’ordine «… and now set Europe ablaze!», … e ora incendiate l’Europa, assegnando ai servizi segreti il compito di suscitare focolai di ribellione e sabotaggio in tutti i Paesi occupati. Già nel 1940, la Gran Bretagna crea lo Special Operation Executive (Soe), e nel 1942 gli Stati Uniti creano l’Office of Strategic Services (Oss), organizzazioni che armano, addestrano e sobillano i movimenti antinazisti.
Gli agenti del Soe e dell’Oss intraprendono una capillare operazione di propaganda ‒ soprattutto via radio ‒ nei paesi occupati. Inviano in tutta Europa agenti segreti incaricati di raccogliere informazioni e fornire istruzioni. Ma soprattutto permettono alle Resistenze europee di passare dall’opposizione all’azione, paracadutando in tutto il continente tonnellate di materiale bellico destinato ai movimenti di guerriglia. In Italia, i servizi alleati danno un imprescindibile supporto logistico e militare alle brigate partigiane, e incoraggiano in ogni modo azioni e sabotaggi. Si stima che complessivamente siano state inviate nel nostro paese oltre 4.000 missioni alleate, e che siano state aviolanciate quasi 6 mila tonnellate di armi, provviste e strumentazioni belliche. Le operazioni di lancio hanno richiesto alle potenze alleate grandi sforzi economici e sono costate la vita di diversi militari e civili. Ogni cassa di materiale è infatti preceduta da una missione, inviata segretamente in territorio nemico, composta da uomini che devono studiare il territorio ed individuare luoghi adatti ai lanci aerei. Altrettanto fondamentale è il ruolo dei piloti, che devono effettuare pericolosi voli a bassa quota, in condizioni di visibilità ridotta, con il pericolo di venire abbattuti. Non bisogna dimenticare poi l’importante ruolo degli Alleati nella ricostruzione del dopoguerra. Nei mesi successivi alla Liberazione, l’Italia è controllata dall’Allied Military Government (Amg), un organismo amministrativo formato da professionisti di diversi settori, incaricati di aiutare gli italiani a rimettere in piedi la sanità, la scuola, i musei, i tribunali, la pubblica amministrazione. I membri dell’Amg sono avvocati, medici, infermieri, critici d’arte, professori che, dopo un breve addestramento, ricevono i gradi militari e sono inviati a governare le regioni appena liberate. Molti di loro sono figli o nipoti di emigranti, scelti proprio perché conoscono la lingua e le usanze italiane. Insomma, se non mancano episodi di diffidenza, quello che si instaura tra Alleati, partigiani e civili, è nel complesso un rapporto di collaborazione. Oggi il sospetto con il quale a lungo si è guardata l’azione degli Alleati in Italia può lasciare spazio a una certa gratitudine nei confronti di persone che, non senza difficoltà e pericoli, hanno reso possibile la piena riabilitazione di quello che – fino a pochi mesi prima – era un paese nemico.
«Una, due, tre sere: attenti, ansiosi davanti alla radio. Nulla! Che rabbia! Finalmente la voce amica dalla Svizzera si fa sentire: la benzina brucia. Quella sera si brindò.». Così il comandante Giuseppe Prati descrive l’attesa del primo lancio sul crinale del Lama, cuore della Resistenza, che grazie alla sua conformazione pianeggiante diventa un punto strategico fondamentale per i lanci alleati. Poco dopo arriva però arriva il disappunto per il poco materiale ricevuto: «Un senso di rabbia mi prese: generosi questi inglesi! Le speranze di un mese di attesa si spegnevano su quel misero allineamento di povere cose. Osservavo in silenzio gli uomini laceri e scalcagnati e una grande tristezza mi assalì per loro che in quel momento non si rendevano conto della beffa ma guardavano le poche armi a terra con avidità e speranza».
Oggi sappiamo che, considerate le possibilità di carico di un aereo da lancio, non sono pochi quei primi dieci bidoni che nel maggio 1944 forniscono i ribelli del Lama di sten, tritolo, mine ad alto potenziale, capi di vestiario e sigarette. Le parole d’ordine che precedono il lancio, trasmesse dalle frequenze delle radio clandestine, sono «la benzina brucia» e «la casa è diroccata». Con quelle prime armi, i partigiani valdardesi compiono un’impresa epica: riescono a occupare Morfasso, uno dei primi comuni liberi dell’Italia occupata.
Se l’attesa e la delusione dei partigiani sono grandi, non bisogna dimenticare che i lanci comportano diverse difficoltà e rischi. Tratto in inganno dai fuochi dei pozzi di petrolio, un mese prima un pilota britannico aveva paracadutato il materiale destinato agli uomini della 38a Brigata nella frazione di Montechino, e i contadini del posto se ne erano impossessati. Inoltre, i lanci notturni fanno del Lama un facile bersaglio per le truppe nazifasciste. Nel giugno 1944 il “monte partigiano” è investito da un imponente rastrellamento da parte di forze di terra e di aria, e i ribelli del Lama sono costretti a disperdersi per alcune settimane.
Nello stesso periodo, anche le altre valli piacentine sono meta di lanci. Per le brigate gielliste delle valli Tidone e Trebbia la parola d’ordine è «continuare a salire», e simile è il clima di attesa impaziente che precede il lancio. Nell’estate 1944 si moltiplicano anche le missioni inviate in provincia via terra, cielo e anche via mare attraverso il porto di Genova. Molte di esse si avvalgono di antifascisti e antifasciste italiani, come Manfredo Bertini “Maber”, paracadutato nei pressi di Pecorara, che con la sua ricetrasmittente riuscirà a trasmettere numerose informazioni sui movimenti nazifascisti nel Piacentino. Proprio insieme alla sua radio si farà saltare in aria nel corso di un rastrellamento, per evitare di cadere in mani nemiche. Altrettanto tragica è la sorte di Luigi Alberto Broglio “Nataniele”, stretto collaboratore del comandante Canzi arruolato nel Soe, che viene sbarcato nei pressi di La Spezia da un sottomarino inglese. Scoperto, viene internato nel campo di Fossoli e fucilato. Nel Piacentino, il Soe ha poi un importante asso nella manica da giocare. Sono gli ufficiali britannici detenuti nel campo di concentramento di Veano di Vigolzone, che conoscono il territorio. Dopo l’Armistizio diversi di loro vengono arruolati come “liaision officer”, incaricati di guidare i partigiani, indirizzare i lanci, e svolgere missioni speciali. La più importante è la missione “Blundell Violet”, guidata dal maggiore Gordon Lett, catturato a Tobruk e fuggito da Veano, che riesce a inviare una moltitudine di messaggi dall’Appennino tra Parma e Piacenza. Nell’ultima fase del conflitto le missioni alleate assumono un ruolo sempre più attivo, e riuniscono truppe scelte per colpire obiettivi strategici, accelerando la resa nazista, e guidando la fase di insurrezione. In questa veste è inviato nel Piacentino Stephen Hastings, comandante della missione “Clover I”, che supervisiona la riorganizzazione delle formazioni partigiane piacentine dopo il grande rastrellamento invernale.
Anche nella piccola realtà piacentina, la storia dei rapporti tra Alleati e partigiani merita una rilettura. È vero che molti ufficiali anglo-americani (a partire da Hastings, futuro deputato del Partito Conservatore) dimostrano un acceso anticomunismo. D’altra parte, però formazioni dichiaratamente rosse ricevono un numero considerevole di lanci, come la 62a Brigata Garibaldi che riesce a conquistare la stima e la fiducia di Corrado Manfredi “Red”, capo della missione americana “Detach”.